Heval Talip

Heval Talip

Era il 26 dicembre 1997 quando una nave immensa, chiamata Ararat, arrivò silenziosa sulla costa di un paesino calabrese, Badolato. La nave era carica di centinaia di profughi curdi che fuggivano dalle stragi cui erano vittime nei territori al centro di sanguinose rivolte. Nelle parole di alcuni attivisti del luogo l’immagine che veniva fuori dalla tela era “il quarto stato”; irrompeva violentemente nel reale inondandola di dolore e disperazione umana. Una folla stanca e sfinita di uomini, donne, bambini ed anziani avanzava lungo la strada trascinandosi a stento. Tra di loro quello che sarebbe diventato uno dei nostri fratelli e co-fondatori della Kasbah, Talip. O meglio, Talip Heval, come voleva che lo chiamassimo. Heval, che nella lingua curda è la parola più bella che esista al mondo, “compagno”. Talip è una figura storica del movimento antirazzista calabrese, da sempre in prima linea contro i soprusi e le violazioni dei diritti dei più deboli. Nelle sue parole “Il nostro compito oggi è quello di raccontare e condannare la disumanità. Lo dobbiamo fare per i tanti che, a differenza mia, non ce l’hanno fatta ad arrivare, morendo in mare”. E la disumanità, Talip, l’ha raccontata sin dall’arrivo. Quella delle carceri turche, delle torture perpetrate sui corpi dei prigionieri curdi, della repressione di un popolo che non si rassegna ad essere schiacciato, asservito. Attraverso le sue parole e quelle dei suoi compagni abbiamo conosciuto il PKK e Ocalan, da un quarto di secolo rinchiuso nel carcere di massima sicurezza dell’isola turca di Imrali; seppellito vivo perché rappresenta la dignitosa resistenza di un intero popolo alla repressione. Il 4 aprile 2004, grazie anche a Talip, Cosenza fu la prima città in Italia a riconoscere la cittadinanza onoraria ad Ocalan.

Dal 2001, anno del nostro incontro con la comunità curda di Badolato – e per oltre un decennio – Talip è stato al nostro fianco nelle lotte politiche che portavamo avanti. Erano gli anni in cui nuovi confini, territoriali e non, venivano costruiti ogni giorno per modulare l’interno e l’esterno, nel tentativo di arginare il movimento dei migranti, erano gli anni della nascita dei cpt, poi cie, poi cpr. Talip era con noi davanti al CPT di Lamezia Terme, così come davanti al CIE di Isola Capo Rizzuto o a quello di Bari. Si lottava, ogni giorno, contro l’avanzare della barbarie, mentre in Italia risuonavano forti i campanelli di allarme e i ministri dell’odio tessevano i loro orditi manipolando e strumentalizzando il disagio e la sofferenza della gente, per rivolgere la rabbia nei confronti dei proletari del mondo di sotto: i migranti. Anni in cui eravamo ancora politicamente ingenui, ignoravamo la deriva assolutista dei decenni successivi e la nostra debolezza politica.  Erano gli anni successivi al G8 di Genova.

Talip era presente durante gli sbarchi di persone in fuga da guerre, persecuzioni, carestie e che tentano la traversata del Mediterraneo, spesso già provate da prolungati periodi di detenzione nelle carceri libiche. Presente durante le giornate successive alla strage di Cutro, un anno fa, quelle in cui era necessario ridare identità, nomi e dignità alle centinaia di corpi riversatisi sul lungomare di Steccato.  Insieme ai familiari delle vittime ha pianto, insieme a loro ha lottato. Mentre i corpi continuavano a riemergere dall’acqua, la spiaggia veniva scavata dalle mani dei superstiti e delle famiglie che denunciavano a gran voce che le ricerche continuassero finché tutti i superstiti non fossero stati riportati a terra. Talip era in mezzo a loro. Sempre presente, là dove bisognava stare!

Da diverse settimane, Talip Heval, è finito al centro di una bruttissima storia della quale alcune dinamiche sono ancora poco chiare. Non è nostra intenzione entrare nel merito di un’inchiesta giudiziaria della quale si sa ben poco. Non ci interessano le accuse “documentate” da stralci di intercettazioni, né il consiglio di “mantenere un profilo basso” fino a quando la magistratura non avrà fatto il suo lavoro. Poco si sa di questa brutta storia. Quello che invece sappiamo, per certo, è chi sia Talip. Sappiamo della sua storia, delle sue lotte, dei suoi sogni. Tanto ci basta per esprimere la nostra vicinanza a un compagno rinchiuso in carcere, nella speranza che questo incubo finisca presto!

Associazione Culturale Multietnica “La Kasbah” onlus

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