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Chi è stato torturato rimane torturato. La tortura è marcata nella carne con ferro rovente, anche se nessuna traccia clinicamente oggettiva è più identificabile. Jean Améry 

La confessione, estorta tra i tormenti, è l’espressione del dolore, non già l’indizio della verità. Francesco Mario Pagano

Tutti ricordiamo con orrore le immagini di Abu Ghraib che nel 2004 hanno documentato le vessazioni inflitte a prigionieri irakeni da parte di soldati americani. Con analogo sgomento tutti ricordiamo il corpo martoriato di Stefano Cucchi, morto in un carcere italiano nel 2009. La tortura fa scandalo anche perché la consideriamo lontana da noi. Un numero sempre maggiore di studi ha dimostrato invece  che circa il 30/40% dei rifugiati ha subito tortura. Vittime di una violenza che non spinge a migrare, ma a fuggire. Seguendo i canali della clandestinità, senza un progetto di vita, sperando solo di dimenticare. La tortura non si consuma unicamente quando una persona è sottoposta a sofferenze e la sua pratica spesso non è riconducibile all’arbitrio di un «eccesso» di potere o a uno stato di eccezione. Per questo occorre allargare lo sguardo al sistema complesso che la produce, che la promuove, che la protegge. Le immagini di Abu Ghraib che prepotentemente sono entrate nella quotidianità familiare attraverso i vari media hanno fatto comprendere che la tortura non è qualcosa del lontano passato o qualcosa che riguarda regimi dittatoriali; hanno fatto vedere che esiste ed è pronta a riproporsi. Ma, al contempo, hanno quasi determinato un’assuefazione a tale pratica o, quantomeno, l’hanno fatta riemergere come una delle opzioni, negative, ma possibili.

Causare estremo dolore e umiliazione a chi è privato di ogni possibilità di difesa, annullare la sua identità e mortificare la sua dignità, questo è quello che subisce un numero altissimo di richiedenti asilo prima di arrivare in Italia. La difficoltà nell’individuazione precoce dei sopravvissuti a tortura, dovuta a una carenza di formazione specifica da parte degli operatori dell’accoglienza, e l’insufficienza di strutture e personale qualificato nella diagnosi e nel trattamento delle patologie conseguenti a torture e traumi estremi pesano fortemente sulla possibilità di garantire accoglienza e cure adeguate a chi ne è vittima.

L’inserimento sociale è impossibile se chi ha subito tali traumi non ha accesso a un percorso riabilitativo che coinvolge medici, psichiatri, assistenti sociali, legali. Tutti operatori che necessitano di un’adeguata formazione per poter innanzitutto riconoscere e quindi aiutare le vittime di tortura. Le conseguenze su chi ha subito torture e abusi sessuali colpiscono la psiche molto più profondamente dei traumi di altra origine. La specificità di questi disturbi richiede una diagnosi corretta ed un trattamento efficace di strutture specialistiche. Tra i problemi che affronta chi fugge dal proprio paese c’è anche quello di dover ricostruire una vita in Italia. Questo vuol dire trovare un lavoro ma anche uscire dalla solitudine.  Nessun trattamento può risultare efficace con i rifugiati sopravvissuti a tortura se non è fortemente integrato con misure di accoglienza e sostegno atte a garantire una vita dignitosa e concrete possibilità di integrazione lavorativa, scolastica, abitativa. Tra l’altro, è importante poter costruire di nuovo relazioni significative protette e stabili con altre persone, poiché alla base delle patologie post traumatiche vi è proprio un trauma di tipo relazionale. Dunque, l’approccio riabilitativo alle vittime di tortura deve essere multidisciplinare e condotto attraverso un lavoro di equipe in cui collaborino psicologi, medici, assistenti sociali, operatori legali, operatori dell’accoglienza. L’Equipe multidisciplinare per l’emersione, la diagnosi, la presa in carico di richiedenti e/o titolari di protezione internazionale e/o vittime di torture e/o di violenza estrema è stata costituita il 28 settembre 2012 attraverso la formalizzazione di un Protocollo di Intesa tra l’Associazione “La Kasbah”, l’Auser di Cosenza, la Provincia di Cosenza e l’A.S.P. di Cosenza per la definizione delle modalità operative e l’individuazione dei percorsi di cura e di integrazione. L’Associazione “La Kasbah” ha partecipato nel 2012 – in collaborazione con il CIAC di Parma e l’Associazione Medici Contro la Tortura di Roma – ad un progetto di formazione rivolto ad operatori medici, legali, dell’accoglienza per l’individuazione e la presa in carico dei rifugiati politici vittime di tortura.

Dalla collaborazione tra l’Associazione Culturale “La Kasbah” e  l’Ambulatorio Medico “Senza Confini – A. Grandinetti” dell’Associazione Auser di Cosenza è emersa la volontà comune di promuovere una strategia sperimentale di rete sul territorio, che consentisse la realizzazione di sinergie mirate a migliorare la qualità dei servizi offerti alla popolazione migrante, con particolare riferimento a persone in condizione di particolare vulnerabilità sanitaria e giuridico-sociale perseguendo, in particolare, i seguenti obiettivi:

Sostenere persone vittime di tortura o violenza estrema attraverso una risposta multidisciplinare e integrata di tipo clinico, assistenziale, relazionale e di integrazione sociale, mirata a favorire percorsi di autonomia personale.

Definire linee-guida e prassi operative per la presa in carico sociale e sanitaria di soggetti vittime di tortura e violenza con particolare riferimento all’individuazione di strumenti in grado di affrontare le situazioni di vulnerabilità sociale e sanitaria in modo efficace e in tempi adeguati.

Offrire un più ampio supporto ai cittadini che richiedono protezione internazionale nell’ambito dell’Ambulatorio Medico Senza Confini “A. Grandinetti” , tramite percorsi sanitari ed interventi di mediazione interculturale e linguistica con particolare riferimento al tema del genere e dei minori.

L’equipe è costituita da operatori sanitari dell’Azienda Sanitaria Provinciale, operatori sanitari dell’Ambulatorio Medico Senza Confini “A. Grandinetti” ed operatori sociali dell’Associazione Culturale “La Kasbah”.

Le figure presenti al suo interno sono: Coordinatore di progetto | Referenti medici dell’Ambulatorio Medico Senza Confini | Psichiatra | Ginecologo | Infettivologo | Ortopedico | Operatrici sociali e dell’accoglienza  | Mediatrici culturali

Compito dell’equipe è valutare l’invio a servizi specialistici, attivando le referenze per gli esami strumentali, predisponendo inoltre la eventuale certificazione clinica e/o medico legale e le eventuali terapie necessarie, accompagnando la presa in carico dei servizi competenti. In sede di coordinamento viene inoltre valutata l’attivazione di misure di tipo sociali (inserimento lavorativo, accoglienza abitativa, apprendimento linguistico, orientamento, segretariato sociale, partecipazione a laboratori ludici espressivi ecc.), anche attraverso l’accompagnamento ai servizi del territorio, per approcciare la complessità della situazione individuale in modo da ridurre la retroazione negativa della condizione di vulnerabilità sociale e giuridica sul percorso di diagnosi, cura e riabilitazione ed anzi facilitarne la realizzazione e promuoverne l’efficacia.

Il corpo è sempre il primo messaggero della sofferenza. È raro, infatti, che la persona vittima di tortura lamenti inizialmente la sua peculiare condizione psicologica. Il disagio viene riferito con una serie di connotazioni su base organica, che solo in parte può essere ricondotta alle sequele delle violenze di cui si è stati vittima. Malati per il male ricevuto, percossi sulle piante dei piedi, ustionati col fuoco o con la corrente elettrica, sospesi al soffitto con gli arti legati, spaccati nelle ossa e distrutti nell’anima. Le conseguenze sul corpo sono devastanti anche in caso di ‘tecniche psicologiche’ di tortura, facendo vivere alla vittima esperienze come l’isolamento per anni, privandola del senso del tempo, in ambienti senza luce o, al contrario, esponendola a una permanente luce accecante. In alcune circostanze vengono sollecitate volutamente nella vittima esperienze di tipo allucinatorio, così da insinuare lo spettro della follia. Anche queste sofferenze nella maggioranza dei casi sono somatizzate sotto forma di insonnia, incubi, allucinazioni, perdita di memoria. Quando parliamo di persona richiedente protezione internazionale e rifugiata dovremmo considerare che insieme ai diritti che le vengono riconosciuti in quanto richiedente o titolare di un determinato status è necessario attivare una serie di funzioni che consentano all’individuo di ristabilire e riassestare, nonostante il possibile disorientamento provocato dalle vicissitudini migratorie, la propria centralità e il proprio progetto di vita.

Qualsiasi comportamento o azione mirante a calmare lo stress, a ricostruire la fiducia nell’essere umano, a ridare dignità e speranza alle vittime di tortura rappresentano atti terapeutici. Oltre agli interventi specifici sulla salute fisica, di tipo medico, si ritiene che siano altrettanto utili gli interventi in ambito sociale, legale e relazionale. Gli effetti della relazione operatore-beneficiario possono aiutare la persona in qualsiasi momento del percorso di ricostruzione dell’identità lesa dalla tortura.

Via Cesare Gabriele, 49 | 87100 Cosenza | INFO: +39 348 841 7369